Fonte

C.A.A. senza supporti (Unaided A.A.C.)

Le lingue dei segni sono un esempio di C.A.A. senza supporti (Unaided A.A.C.). Nel mondo, ci sono almeno 138 lingue dei segni (Cramerotti & Turrini, 2015, p. 183). Come spiegano Cramerotti & Turrini (2015, p. 138), le lingue dei segni non sono state «inventate a tavolino» bensì, come le lingue parlate, nascono dall’interazione tra coloro che le usano, soprattutto i bambini. Infatti, è stata persino documentata da alcuni linguisti la nascita della lingua dei segni del Nicaragua, ad opera di un consistente numero di bambini sordi trovatisi insieme in due scuole (Cramerotti & Turrini, 2015, p. 138).

Così come la lingua parlata, anche la lingua dei segni deve essere acquisita all’interno del cosiddetto “periodo critico”, la cui fine corrisponde approssimativamente con l’inizio dell’adolescenza (Lenneberg, 1967). Degli studi condotti da Curtiss (1977; 1988), infatti, hanno dimostrato che l’acquisizione della prima lingua (L1) dopo la fine del periodo critico risulta gravemente compromessa, soprattutto nei suoi aspetti fonetico-fonologici e morfosintattici.

Superfluo menzionarlo, la lingua dei segni è una lingua a tutti gli effetti, con le sue regole morfosintattiche ecc. Risulta opportuna una precisazione sulla differenza tra “acquisizione” ed “apprendimento” di una lingua: mentre l’apprendimento avviene studiando (si pensi all’apprendimento di una lingua straniera, anche in età adulta), l’acquisizione di una lingua avviene spontaneamente. Si pensi a come ognuno di noi ha acquisito la propria L1 nella prima infanzia. L’apprendimento presuppone uno sforzo consistente, mentre l’acquisizione avviene senza sforzi. L’acquisizione è solitamente perfetta, mentre l’apprendimento di una L2 (seconda lingua) non raggiungerà mai – 7 eccetto in rari casi – il livello della prima lingua (Cramerotti & Turrini, 2015, pp. 185- 186).

Virginia Volterra è una li nguista italiana nata nel 1949. I suoi primi studi, con la stretta collaborazio ne di Elizabeth Bates (ricercatrice statunitense), riguardarono le prime fasi di acquisizione del linguag gio ed il ruolo del gesto nei bambini udenti. Ha contribuito ad una più approfondita conoscenza della lin gua dei segni italiana (LIS) e ad una sua corretta diffusione. All’unisono con altri ricercatori linguist ici di fama internazionale, quali ad esempio Grosejan, Volterra asserisce “che il bilinguismo nella modal ità Lingua dei Segni e Lingua Italiana sia l’unico modo in cui il bambino sordo potrà soddisfare i suoi bisogni, che sono quelli di comunicare con i propri genitori, sviluppare le abilità cognitive, acquisire conoscenza del mondo e relazionarsi culturalmente al mondo degli udenti e dei sordi”. (fonte).

Come dice la stessa parola, si tratta di un vero e proprio bilinguismo, perché i bambini i cui genitori optano per questo metodo imparano a comunicare in modo perfettamente efficace sia in lingua itali ana, sia nella lingua dei segni, avendo quindi accesso sia al mondo degli udenti che a quello dei sordi. Il me todo bilingue prevede che le due lingue (italiano e lingua dei segni) non vengano utilizzate contemporaneame nte, bensì in contesti diversi: la L.I.S. con altre persone sorde o ad esempio con l’assistente alla comunicaz ione a scuola (Bosi, Maragna, Tommassini: 2007), mentre l’italiano con persone udenti. (fonte).

Il metodo bimodale consiste nell’utilizzare l’Italiano Segnato (I.S.) contemporaneamente alla lingua italiana parlata. I segni vengono quindi utilizzati insieme alle parole (a questo si deve il nome di questo metodo). I segni seguono l’ordine dell’italiano parlato (Cramerotti, Turrini: 2015, p. 106). Quindi, il bambino impara un’unica lingua, facilitata dai segni. Questo metodo pone attenzione anche sulla lettura la biale. In quest’ottica si inserisce il Manuale di logopedia per bambini sordi (2001) di Piera Massoni e Sim onetta Maragna. Le autrici sostengono infatti che il gesto non uccide la parola, ma al contrario può esser e d’aiuto nello sviluppo di una competenza linguistica.

L’approccio oralista viene sostenuto da coloro che credono fermamente ne lla necessità, da parte dei sordi, di integrarsi nella comunità degli udenti. Questo approccio prevede una precoce protesizzazione, un precoce inizio del percorso logopedico, con una particolare enfasi sulla lettura labiale (Cramerotti, Turrini: 2015, p. 106), e si esclude categoricamente l’apprendimento di una lingua dei s egni, in quanto i sostenitori di questo 8 approccio sono fermamente convinti che i segni contribuiscono a “ghettizzare” i sordi e ad isolarli dalla comunità degli udenti.

Oltre alle lingue dei segni intese nel modo tradizionale, ovvero come sistemi comunicati vi completi, destinati alla comunicazione nella comunità dei sordi, esistono dei programmi linguistici svilup pati all’estero, basati su un approccio multimodale, che integra componenti diverse quali i segni, il linguag gio verbale e le immagini. Tali programmi linguistici non sono ad uso esclusivo dei sordi, bensì sono pensati per migliorare le capacità comunicative di persone con diversi tipi di disabilità, tra cui i soggetti autis tici. Ad esempio, Signalong è un ente non lucrativo britannico che ha sv iluppato un sistema di comunicazione supportato dai segni (quando possibile, quelli dell a British Sign Language). Diversamente dalla Lingua dei Segni Britannica, questo programma li nguistico “si focalizza sullo sviluppo delle abilità comunicative piuttosto che sull’insegnare b atterie di segni, molte delle quali verranno facilmente dimenticate a causa dello scarso utilizzo” (traduzione personale da http://www.signalong.org.uk/).

Un altro programma linguistico britannico interessante è Makaton. Questo programma utilizza “simboli, segni e linguaggio verbale per permettere alle persone di comunicare. [...] Con Makaton, i segni sono utilizzati, insieme al linguaggio verbale e rispettando lo stesso ordine delle parole. Ciò contribuisce a fornire informazioni ag giuntive su cosa sta dicendo colui che parla. L'uso dei segni può essere d'aiuto per coloro che non parla no o il cui linguaggio risulta poco chiaro. I simboli possono aiutare coloro che hanno un linguaggio limi tato o coloro che non possono usare i segni, o che preferiscono non farlo. [...] I simboli e i segni di Makaton [...] si possono abbinare al linguaggio verbale - nella sua forma orale o anche scritta - o di p ossono anche utilizzare da soli. Forniscono una rappresentazione visiva del linguaggio, che permette di aumentare la comprensione e che facilita l'espressione. [...] [E’] un approccio multi-modale, nel qual e ogni componente integra l'altra” (traduzione personale da http://www.makaton.org/aboutMakaton/).

Un esempio notevole di facilitazione dell'apprendimento della lingua dei segni è qu ello del programma televisivo Signing Time! dell'omonima Fondazione, creato da Rachel Coleman e Emilie Brow n. Questo programma televisivo, i cui video sono presenti anche su YouTube, incoraggia l'apprendimento dell’ A.S.L. (America n Sign Language) in bambini da uno a otto anni 9 attraverso un approccio multisensoriale che abbina stim oli visivi, uditivi e cinestetici. Il programma nasce dall'esperienza di vita di Rachel Coleman, la quale nel ‘96 ha avuto una bambina (Leah, che figura nel programma insieme al cuginetto Alex) alla quale all'età di sei mesi è stata diagnosticata sordità dalla nascita. La Coleman notò che la bambina andava imparando la lingua dei segni più velocemente rispetto al linguaggio verbale dei coetanei.

Bibliografia

Bosi, R., Maragna, S., & Tommassini, R. (2007). L’assistente alla comunicazione per l’alunno sordo. Milano: Franco Angeli.

Cramerotti, S. & Turrini, M. (Eds.). (2015). Disabilità sensoriale a scuola: Strategie efficaci per gli insegnanti. Trento: Edizioni Centro Studi Erickson S.p.A.

Curtiss, S. (1977). Genie: A psycholinguistic study of a modern day «wild child. Boston: Academic Press.

Curtiss, S. (1988). The case of Chelsea: A new test of the critical period for language acquisition. Los Angeles: University of California.

Lenneberg, H. (1967). Fondamenti biologici del linguaggio. Torino: Boringhieri.

Massoni, P., & Maragna, S. (2001). Manuale di logopedia per bambini sordi: Con esemplificazioni di unità logopediche, esercitazioni ed itinerari metodologici. Milano: Franco Angeli.