Picture Exchange Communication System (P.E.C.S.)



Fonte

Andy Bondy e Lory Frost (2001, p. 725) definiscono, sulla scia di Skinner (1957), la comunicazione come un comportamento complesso, in cui non vi è solo una persona che parla, ma vi sono anche altri elementi quali ad esempio un ascoltatore, un messaggio, dei comportamenti e delle conseguenze (per esempio, le reazioni dell’ascoltatore a ciò che dice colui che parla). Il P.E.C.S. (Bondy, Frost: 2001, pp.725-744) è un sistema rapido da apprendere, sviluppato per insegnare a bambini con difficoltà comunicative a comunicare in maniera funzionale. Inizialmente, il sistema era stato creato ed era rivolto solamente a bambini con Disturbi dello Spettro Autistico ma, visto il suo successo, il suo utilizzo fu ampliato. Viene posto l’accento da parte degli autori sull’importanza, da parte dei bambini, di riuscire a comunicare autonomamente, senza bisogno di aspettare uno stimolo da parte dell’adulto (p. 727). Il protocollo di training P.E.C.S. si suddivide in sei fasi, ed almeno nelle fasi iniziali, ha come obiettivo quello di insegnare al bambino a fare delle richieste spontanee. Però, al fine di rendere il bambino capace di formulare tali richieste, il partner comunicativo deve prima “scoprire” quali sono gli oggetti preferiti del bambino. Può appurare ciò senza bisogno di parlare, ovvero semplicemente mostrando / offrendo degli oggetti al bambino ed osservando la sua reazione (cioè se li respinge, li tocca ecc.). Inoltre, si può anche determinare una scala gerarchica degli oggetti preferiti.

Nella prima fase del protocollo, Come comunicare (pp. 728-730), il bambino comunica utilizzando una singola immagine. Non viene dunque richiesta l'abilità di discriminare tra diverse immagini e di sceglierne una specifica. In questa fase, il bambino deve semplicemente essere in grado di avvicinarsi al partner comunicativo, dargli l’immagine (comportamento specifico) e ricevere l’oggetto desiderato (la conseguenza). Quindi, come sostengono gli autori, si segue lo stesso percorso dei bambini con sviluppo tipico, i quali, prima ancora dello sviluppo dell’abilità di pronunciare singole parole, sono già in grado di comunicare approcciandosi / avvicinandosi / guardando un’altra persona, comportandosi in un certo modo per attirare l’attenzione su un oggetto o un evento, ed infine osservando la conseguenza del loro comportamento. Lo schema quindi seguito, sia dai bambini con sviluppo tipico che da quelli con difficoltà comunicative, è: approach, behaviour, consequence. Inoltre, sempre secondo gli autori, i bambini in questa fase comunicano utilizzando una singola immagine, così come ai bambini con sviluppo tipico non viene richiesto, inizialmente, di comunicare utilizzando più parole (scegliendo quindi le parole “giuste” dal proprio repertorio). «[I]mparare ad utilizzare una parola o un simbolo specifico viene successivamente» (p. 729, trad. personale) rispetto all’atto comunicativo in sé. In questa fase iniziale, può essere molto utile utilizzare due operatori, uno che funge da partner comunicativo, e l’altro che indirizza le scelte del bambino (prendere l’immagine; portarla al partner comunicativo). Il partner comunicativo fornisce al bambino l’oggetto desiderato, e lo nomina, non appena il bambino gli consegna l’immagine. L’operatore che si occupa dell’aiuto fisico al bambino riduce progressivamente il suo aiuto man mano che il bambino diventa più autonomo (fading).

Durante la seconda fase, Distanza e persistenza (pp. 730-731), «ai bambini viene insegnato a persistere nei loro sforzi comunicativi nonostante una varietà di ostacoli o quando i parametri [...] cambiano leggermente» (p.730). In questo modo, il bambino impara a generalizzare l’utilizzo di questo tipo di comunicazione. I bambini con sviluppo tipico, quando non vengono ascoltati, utilizzano strategie come parlare a voce più alta. Il bambino che comunica tramite P.E.C.S., non potendosi avvalere di strategie vocali, in questa fase impara ad utilizzare altre strategie quali ad esempio «allungare di più il braccio per raggiungere la mano del partner comunicativo oppure percorrere distanze sempre maggiori per arrivare al partner comunicativo» (p.730, trad. personale). In questa fase, il bambino apprende anche a cercare l’immagine che gli serve per comunicare (la quale non appare magicamente al bambino quando serve!) ed a trovare il partner comunicativo, che non sempre si trova nelle immediate vicinanze. Al fine di rendere la comunicazione del tutto spontanea, il bambino deve poter comunicare utilizzando le stesse modalità con partner comunicativi diversi nell’arco delle diverse attività della giornata (p. 731).

Nella terza fase, Discriminazione tra stimoli (pp.731-733), il bambino impara a comunicare scegliendo tra simboli diversi. Per insegnare ad un bambino a discriminare tra due simboli diversi, bisogna presentare due immagini, una raffigurante un oggetto desiderato, e l’altra un oggetto non desiderato. Scegliere le immagini di due oggetti desiderati sarebbe un errore, in quanto non si potrebbe avere la certezza che il bambino abbia scelto / selezionato l’oggetto che veramente voleva. Il training continua utilizzando gradualmente immagini sempre più simili dal punto di vista della desiderabilità. Inoltre, si comincerà a presentare un numero sempre maggiore di simboli.

Per quanto riguarda la quarta fase, Usare frasi (pp. 733-734), bisogna riflettere sul fatto che, mentre i bambini con sviluppo tipico, anche quando non vanno oltre l’olofrase (frasi costituite da una singola parola), riescono, grazie all’intonazione, a far comprendere quando esprimono una richiesta piuttosto che un commento, i bambini che comunicano tramite P.E.C.S., non potendo utilizzare l’intonazione, vengono incoraggiati a formulare richieste accostando il simbolo che sta per “voglio” all’immagine raffigurante l’oggetto desiderato. Utilizzando, invece, simboli col significato di “vedo” o “sento”, il bambino impara a formulare dei commenti. Il bambino dunque apprende a consegnare al partner comunicativo un foglio sul quale sono attaccate sia l’immagine dell’oggetto desiderato che il simbolo che esprime la richiesta o il commento.

La quinta, Rispondere ad una domanda relativa ad una richiesta (p.735), e la sesta fase, Commentare (pp.735-736) insegnano al bambino, rispettivamente, a rispondere alla domanda “Cosa vuoi?” ed alla domanda “Cosa vedi?” (ossia un commento). Infine, sempre all’interno della sesta fase, il bambino impara a rispondere nel modo giusto a seconda che si tratti di un commento o di una richiesta.

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Bibliografia

Bondy, A.S., & Frost L. (2001). The Picture Exchange Communication System. Behavior Modification, 25 (5), 725-744.

Skinner, B. F. (2008). Il comportamento verbale. Roma: Armando.

di Michele Cucuzzella